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Negli anni dell’esplosione degli smartphone, intorno al 2010, chiunque possedesse un cellulare di nuova generazione faceva il suo ingresso in Internet, cominciando, volontariamente o meno, a ricercare e scambiare informazioni con la Rete.

Era il periodo della prima amministrazione Obama: gli esperti credevano fermamente che Internet favorisse la libertà e che la rivoluzione digitale in atto fosse un modo per superare gli ostacoli imposti da regimi autocratici quale quello cinese.

Sulla base di questa teoria chiamata “teoria dell’emancipazione“, i media occidentali hanno iniziato ad attribuire il successo delle rivolte a sostegno delle democrazie nell’Europa dell’Est, in Medio Oriente e in Asia Occidentale ai social network realizzati negli Stati Uniti.

All’epoca raramente la Cina veniva percepita come possibile leader nelle tecnologie digitali, anzi, era immaginata come fabbrica del mondo e spesso veniva derisa perché più brava a copiare piuttosto che innovare.

Nell 2014, durante il Movimento degli Ombrelli, la protesta pacifica nata ad Hong Kong, lo scambio di informazioni tra i gruppi di manifestanti avveniva per lo più via Facebook.

La volontà cinese di leadership

Indifferente alle critiche e ormai avvezza ad essere sottovalutata, la Cina varò il programma Made in China 2025 durante uno stallo dell’economia, il quale avvenne nel 2015 dopo anni di crescita a ritmi vertiginosi.

Con questo programma il Paese del Dragone sottolineò l’ambizione di diventare leader mondiale in settori strategici quali i microchip, l’intelligenza artificiale, le auto a guida autonoma e la robotica, progetto che si sommò al già esistente programma locale battezzato “sostituire l’uomo con le macchine”.

In aggiunta, merita particolare menzione un’altra iniziativa specifica nel settore dell’intelligenza artificiale, chiamata New Generation Artificial Intelligence Plan che nacque nel 2017 con lo scopo di ottenere la leadership in questo specifico ramo tecnologico entro il 2030.

“Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni è che non bisogna mai scommettere contro il governo cinese”

Emil Hauch Jensen

L’Occidente orgogliosamente adagiato sugli allori della democrazia

I primi cigolii della cosiddetta teoria dell’emancipazione avvennero in seguito ai seguenti eventi:

  • La delusione per il fallimento della Primavera araba;
  • Le rivelazioni scioccanti di Edward Snowden sul programma di sorveglianza domestica Prism, grazie al quale l’Nsa controllava le comunicazioni in rete;
  • Il ruolo infelice della Russia nelle presidenziali americane del 2016 con le quali influenzò l’opinione pubblica grazie a social network come Facebook e Twitter;
  • Lo sfruttamento dei dati Facebook della ormai defunta Cambridge Analytica;

Alle soglie del 2020, Europa e Stati Uniti soprattutto, sono passati in pochi anni da una chiara manifestazione di disprezzo per la capacità innovativa cinese, unita ad una spocchiosa e cieca fiducia nella propria, ad una eccessiva ammirazione fino ad un panico vero e proprio.

Vista la progressione cinese in materia di innovazione e visto il controllo che ha assunto la Cina nel contenere la pandemia di Covid, è naturale porsi alcune domande:

  • Come ha fatto la Cina ad innovarsi così velocemente?
  • Gli strumenti con i quali la Cina sta combattendo la pandemia, per quanto efficaci che siano, sono leciti?
  • E se lo sono, a questo punto, la democrazia come la conosciamo, è ancora da considerarsi la più evoluta forma di governo?

Skynet: il governo cinese concretizza le paure di George Orwell

Se da un lato il modello democratico tipico dei paesi occidentali ci condiziona e ci fa dubitare di ogni forma di trattamento dei dati, dall’altro abbiamo un esempio di come un sistema autoritario basato sull’intelligenza artificiale si sia dimostrato estremamente efficace nel limitare gli effetti di una pandemia che sta attanagliando il mondo intero.

Una nuova tecnologia in Cina consente, in una strada, in una piazza, o in un luogo privato di individuare e riconoscere i volti delle persone e classificarli sulla base di informazioni quali: età, sesso, etnia.

Questa rete di videocamere, scanner e l’analisi di questa grande quantità di big data acquisiti, risponde al nome di Skynet.

La Cina si autocelebra per aver sconfitto il Covid proprio grazie a questa tecnologia, individuando rapidamente i soggetti che sono stati a stretto contatto con persone affette dal virus, asintomatici o meno che siano.

Si pensi che nel 2017 un giornalista della Bbc, Jhon Sudworth, simulò una fuga per le strade di Shangai; grazie al “grande occhio” di Skynet, al polizia identificò e arrestò il giornalista in soli sette minuti.

“Se non hai fatto niente di sbagliato, non preoccuparti dei fantasmi che vengono a bussare alla tua porta nel cuore della notte”

Vecchio detto cinese

È lecito riconoscere che nel breve periodo una simile tecnologia si sia rivelata estremamente efficace per contrastare una crisi sanitaria, ma come la mettiamo quando un simile strumento viene utilizzato dal governo per mantenere sotto controllo la stabilità politica e sociale di un paese, come sta facendo la Cina oggi?

Non una ma ben 21 Silicon Valley

Per quanto possa sembrare controverso ai nostri occhi un simile utilizzo delle nuove frontiere hi-tech basate sull’intelligenza artificiale, la Cina corre solitaria mentre il mondo intero è alle prese con la gestione della pandemia.

Per un paese che ambisce alla posizione di nuovo leader tecnologico, non è più tempo di imitare quello che fanno gli altri: ecco perché la Cina conta non una, ma ben 21 Silicon Valley!

La repubblica popolare cinese nel 2009 ha avviato la creazione di questi hub tecnologici allo scopo di promuovere l’alta tecnologia e creare poli di eccellenza cercando di partorire idee capaci di diventare prodotti e tecnologie di successo.

Se è difficile immaginare che un governo Europeo indirizzi le attività di ricerca e sviluppo, al contrario in Cina le autorità locali e nazionali sostengono economicamente e guidano lo sviluppo di queste grandi zone al alta densità di tecnologia.

Secondo la Kpmg, nel 2020 ben cinque città cinesi si collocano tra i 20 principali centri mondiali dell’innovazione, le città sono: Shangai, Pechino, Hong Kong, Taipei e Shenzhen.

Shangai è il polo principale dell’innovazione; ad oggi occupa un’area di 95 chilometri quadrati e verrà ampliata fino a 300, con migliaia di aziende, centri di ricerca e sviluppo e 18 incubatori di livello nazionale.

Anche nell’intelligenza artificiale Shangai conta laboratori di eccellenza, come il Research Lab di Microsoft e un centro di super computer governativo.

A Zhangjiang sorge AIsland, al cui interno si trova Microsoft AI & IoT Insider Lab; qui viene svolta una funzione di catalizzatore per una moltitudine di aziende e startup specializzate in IA che operano nei settori più disparati: sanità, sicurezza, robotica e cloud computing.

Se Shangai punta alla creazione di un vero e proprio ecosistema innovativo orientato all’economia digitale, Pechino ha come priorità l’integrazione tra ricerca accademica, ricerca applicata e sviluppo tecnologico.

Come competere contro questo vantaggio?

Al solo pensiero che ad oggi, una superpotenza economica come la Cina stia inesorabilmente scalando la vetta della supremazia tecnologica mentre il nostro paese è ancora impantanato nella morsa del Covid, suscita un giustificato panico.

Secondo l’Internet Society of China, nel 2019 il valore di mercato dell’intelligenza artificiale nel paese era stimato ben 7 miliardi di dollari.

Viste le difficoltà nel promuovere ed utilizzare correttamente un’applicazione come Immuni rispetto ad un utilizzo dispotico di una tecnologia quale Skynet, i timori sono più che giustificati: le direzioni intraprese dai rispettivi governi appaiono diametralmente opposte.

Una risposta semplice che ci aiuti a competere contro questo strapotere in modo efficace non esiste o è estremamente complessa. Probabilmente sarà necessario smuovere la nostra cultura dalle fondamenta.

Ci sentiamo di concludere con un suggerimento forte e chiaro: ogni cittadino, ogni azienda, organizzazione, pubblica o privata che sia, dovrebbe quantomeno iniziare ad interrogarsi su cosa sia realmente l’intelligenza artificiale:

  • informarsi sulle sue potenzialità;
  • capire i benefici che ne derivano (e svantaggi);
  • imparare quali sono i requisiti per poter usufruire di questa meravigliosa opportunità;

Tutto questo processo va affrontato in modo trasparente e privo di pregiudizi dettati da qualche film o serie di fantascienza o da qualche giornalista demagogo e impreparato.

Nel cammino verso l’entusiastica scoperta di questo mondo, ci troviamo nel limbo tra pregiudizi, timori, giornalisti demagoghi e impreparati, che influenzano e guidano la nostra opinione e il nostro approccio: lasciamo fluire l’informazione, rompendo gli schemi e lasciando spazio a nuove, piccole rivoluzioni culturali.